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Diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti

Intervista di Valeria Ghitti.

Diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti. L’intervista.

Diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti.
Vasculiti è un nome che ai più dice poco o nulla, ma raggruppa una serie di condizioni tutte accomunate da infiammazioni dei vasi sanguigni. La maggior parte di queste malattie, presa singolarmente, è considerata rara, ma, come spesso accade in questo ambito, tutte insieme possono diventare un problema medico e sociale importante. Mancano tuttavia dati precisi al riguardo.
In Italia non abbiamo un registro delle vasculiti e, soprattutto, si tratta di malattie ancora troppo spesso sottodiagnosticate, perché le loro manifestazioni non sono sempre chiare fin dall’inizio. Inoltre non esistono ancora cure capaci di portare tali condizioni ad uno stato di risoluzione completa (guarigione).
Negli ultimi anni, tuttavia, l’armamentario terapeutico si è notevolmente allargato e diversificato, con l’introduzione di nuovi farmaci, soprattutto nel campo delle cosiddette strategie biotecnologiche, capaci, in molti casi, di indurre una remissione clinico biologia del tutto soddisfacente.

Vasi sanguigni sotto attacco
Diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti.

Le vasculiti sono un gruppo eterogeneo di malattie in cui si verifica un processo infiammatorio a carico dei vasi sanguigni, sia quelli di piccolo calibro, come capillari e arteriole, sia quelli di medio o grande calibro. Abbastanza frequentemente sono interessati soltanto i vasi arteriosi, mentre solo in alcune condizioni più rare sono coinvolti contemporaneamente vasi venosi e arteriosi.
In alcuni casi, l’infiammazione cronica dei vasi rappresenta la complicanza di altre malattie, come forme tumorali, infezioni o, più spesso, malattie autoimmuni di tipo sistemico, come l’artrite reumatoide o il lupus. In questo caso, più frequentemente, si tratta di vasculiti primitive, che costituiscono un gruppo numeroso ed eterogeneo di malattie.
«Tra queste, alcune delle più frequenti o caratteristiche sono l’arterite giganto-cellulare (ex arterite di Horton), la  Granulomatosi con poliangioite-GPA- (ex granulomatosi di Wegener), la Granulomatosi eosinofila con poliangioite-EGPA- (ex Sindrome di Churg-Strauss) e la Sindrome di Behçet.

Cause ancora ignote
Alla base delle vasculiti primitive si riconosce un meccanismo patogenetico di ordine immunologico. In pratica il sistema immunitario, nato per contrastare agenti aggressivi provenienti dall’esterno, si attiva invece contro cellule e tessuti dell’organismo stesso, e in particolare in questo caso, nei confronti dei vasi sanguigni. Normalmente, quando si attiva la risposta immunitaria contro agenti estranei, si verifica un processo infiammatorio nel tessuto o nell’organo in questione. In caso di risposta autoimmune, però, l’infiammazione non è passeggera, ma perdura. Con il protrarsi di questa condizione i danni si possono poi estendere anche ad altre parti dell’organismo.

«I meccanismi autoimmuni che entrano in gioco non sono uguali per tutte le vasculiti e per nessuna di esse conosciamo al momento le effettive cause che portano il sistema immunitario ad aggredire i propri tessuti» precisa il dottor Emmi.
«Quel che è certo è che entrano in gioco più fattori, a cominciare da una suscettibilità genetica. Solo ora e solo in parte, infatti, cominciano ad essere individuati, per ciascuna di queste forme autoimmuni, alcuni geni* posti su cromosomi* diversi, le cui  alterazioni puntiformi  (polimorfismi) favoriscono una maggiore predisposizione verso la malattia. Poi, entrano in gioco altri fattori che possono, in un soggetto suscettibile, scatenare la reazione autoimmune. In realtà, questi fattori non sono ancora noti, ma si ipotizza che possano giocare un ruolo agenti infettivi, come virus e batteri, ma anche l’esposizione a fattori ambientali come sostanze chimiche, farmaci, e la stessa alimentazione».

Simili ma non troppo!
Diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti.


Le vasculiti sono accomunate da una forte risposta immunologica e dalla presenza di infiammazione e necrosi (cioè morte) delle pareti dei vasi sanguigni di qualunque calibro e in qualunque parte dell’organismo. L’infiammazione dei vasi può causare ostruzioni (stenosi ed eventuale trombosi) o dilatazioni (aneurismi) degli stessi. I sintomi, però, possono essere i più vari. «Alcuni possono essere comuni a ogni vasculite, ma sono in genere quelli più aspecifici, come febbricola, malessere, dolori articolari, stanchezza, mentre i più peculiari, ovvero quelli che possono aiutare nella diagnosi, sono diversi a seconda del tipo di vasculite e possono manifestarsi in modo diverso anche tra soggetti colpiti dalla stessa malattia» ricorda lo specialista. Con frequenza variabile in base al tipo di vasculite, possono essere coinvolti numerosi organi ed apparati  (in particolare reni, cuore, polmoni, occhi, sistema nervoso centrale, nervi periferici, intestino).

Tutto ciò non facilita la diagnosi


La diagnosi ancora tardiva per molte vasculiti avviene anche perché non esistono esami del sangue del tutto caratteristici con l’eccezione degli anticorpi rivolti verso il citoplasma dei neutrofili, ANCA, che marcano la GPA, l’EGPA e la poliangioite microscopica. Da ricordare che un innalzamento consensuale dei tre principali indici di flogosi, VES, fibrinogeno e PCR- proteina C reattiva-, dovrebbe orientare il medico, soprattutto se associato a cefalea di recente insorgenza, verso una possibile arterite di Horton. Se si sospetta una vasculite dei grossi vasi, devono essere eseguiti esami di terzo livello quali PET, TAC o biopsie.

Le terapie da adottare.

Per quanto riguarda le terapie, si inizia in genere con corticosteroidi ad alte dosi, che servono per spegnere subito l’infiammazione, cui fanno seguito immunosoppressori “classici” e, dove possibile, immunosoppressori di ultima generazione, cioè anticorpi monoclonali. Ma la terapia va comunque personalizzata in base al tipo di vasculite e caso per caso: «Generalmente le cure proseguono per alcuni mesi o anni, possono essere sospese quando la malattia è in remissione (cioè quando i sintomi scompaiono), ma può essere necessario doverle riprendere alla ricomparsa delle manifestazioni, per tener sotto controllo la vasculite» evidenzia Emmi. «Diagnosi e terapie precoci  permettono oggi di convivere con queste malattie conducendo una vita quasi del tutto normale».


L’arterite di Horton comincia spesso con un mal di testa

Una delle vasculiti più frequenti, che si manifesta però quasi esclusivamente negli over 50 (più spesso attorno ai 65-70 anni), è l’arterite a cellule giganti o arterite di Horton, che colpisce le grandi arterie extra craniche, in particolare l’arteria temporale, ma anche arterie interne come l’arco aortico e le sue diramazioni.  «Il primo sintomo è spesso un mal di testa che insorge all’improvviso in chi prima non ne soffriva, nella maggior parte dei casi nella zona temporale  del capo (solo in un 10 per cento circa dei casi riguarda la nuca), più spesso da un solo lato per poi diventare bilaterale. Il mal di testa è abbastanza intenso,  e difficile da sopportare, inoltre è presente anche di notte» spiega il dottor Emmi. «Poiché le arterie temporali irrorano di sangue i muscoli della mandibole, si può avvertire stanchezza quando si mastica (claudicatio masticatoria). Spesso, poi, si può avvertire al tatto, sulla tempia, una sorta di cordoncino, dato dal vaso sanguigno infiammato». Possono comparire anche sintomi generali come febbre, astenia, dimagrimento e malessere generale. Tale forma di  arterite si complica spesso con una polimialgia reumatica, ossia dolori alle spalle, alla regione femoro-inguinale e alle pelvi.

Doppler e biopsia per individuarla
«Il quadro dei sintomi, se osservato con attenzione da un medico esperto, può già suggerire la presenza di questa vasculite. Un aiuto in più arriva dall’esame del sangue, che evidenzia livelli alti degli indici di infiammazione (VES, PCR e fibrinogeno), ma è ancora più utile un ecodoppler dell’arteria temporale. Se questo mostra un alone scuro (edema) attorno al vaso o un restringimento, la diagnosi è quasi certa» continua lo specialista. «Si può anche eseguire una biopsia dell’arteria temporale per mettere in evidenza istologicamente l’infiammazione. Occorre però eseguire una biopsia estesa, almeno un centimetro, perché in tale arterite il processo infiammatorio procede “a salti”, ovvero alternando tratti sani a tratti infiammati. Pertanto, con un campione più piccolo, si rischia di prelevare una parte di parete arteriosa non infiammata, che non permetterebbe una diagnosi corretta». L’arterite di Horton può estendersi anche all’arco aortico (il secondo tratto dell’aorta)e ai suoi rami vicini, senza  necessariamente dare sintomi, per questo quando si sospetta la presenza di questa vasculite occorre fare una PET  dei grossi vasi per valutarne l’eventuale coinvolgimento.

La terapia va iniziata il prima possibile.
«Poiché in una piccola percentuale di casi l’infiammazione può estendersi all’arteria oftalmica e portare alla cecità, occorre cominciare il trattamento non appena si sospetta questa vasculite, anche prima di effettuare la biopsia, che resta comunque positiva  e quindi utile a scopi diagnostici fino a due settimane dopo l’inizio della cura» evidenzia il dottor Emmi. Vengono inizialmente prescritti corticosteroidi (per esempio prednisone) ad alte dosi (in alcuni casi anche per via endovenosa in day hospital), per bloccare in modo rapido l’infiammazione. Le dosi verranno, poi gradualmente ridotte. «Il mal di testa passa già dopo pochi giorni di cortisone e questo conferma la diagnosi di arterite di Horton» ricorda il medico. Dopo questa dose d’attacco, le dosi di cortisone vengono gradualmente ridotte fino al minimo, per ridurre anche gli effetti collaterali di queste sostanze (come aumento di peso, osteoporosi, per citarne solo alcuni). «Allo scopo in alcuni casi si associano poi ai cortisonici farmaci immunosopressori, che servono per bloccare la moltiplicazione delle cellule coinvolte nella reazione autoimmune. In particolare, si ricorre a methotrexate  o agli anti-TNF alfa. Risultati molto promettenti arrivano tuttavia da un altro farmaco biologico, il tocilizumab,  anticorpo monoclonale che inibisce il recettore dell’interleuchina 6, una delle citochine pro-infiammatorie, cioè molecole che favoriscono l’insorgere e il perdurare dello stato infiammatorio» spiega Emmi. 


La sindrome di Churg-Strauss colpisce gli asmatici

Chiamata oggi granulomatosi eosinofila con poliangioite, la sindrome di Churg-Strauss è una vasculite che coinvolge i vasi sanguigni di piccole e medie dimensioni e che solitamente si manifesta in adulti che hanno una storia di asma. L ’infiammazione dei vasi può coinvolgere qualsiasi organo e porta alla comparsa di granulomi (neoformazioni di tessuto derivanti dal raggruppamento delle cellule del sistema di difesa responsabili dell’infiammazione cronica) che possono distruggere il tessuto sano e interferire con il funzionamento degli organi colpiti. «Inizialmente sono in genere colpiti i seni paranasali, con rinosinusite cronica, associata anche alla presenza di poliposi nasali con anosmia (perdita dell’olfatto). In molti soggetti vengono poi coinvolti i polmoni, con la comparsa di addensamenti che spesso vengono scambiati per focolai di polmonite» rivela lo specialista. «Si tratta, però, di addensamenti fugaci che non tendono alla cavitazione. Dal punto di vista istologico tali addensamenti sono essenzialmente costituiti di un infiltrato eosinofio (un tipo di globuli bianchi). Questo tipo di cellule è poi particolarmente elevato anche nel sangue e negli altri tessuti». La vasculite può interessare anche il cuore (causando pericarditi o miocarditi), l’intestino, i reni, il sistema nervoso periferico (determinando polineuropatie, in particolare alle gambe, che possono portare anche all’immobilità).

Alla ricerca degli eosinofili
«La diagnosi della granulomatosi eosinofila si basa sui sintomi ed sugli esami del sangue. Poiché è caratteristico di questa vasculite l’incremento del numero degli eosinofili nel sangue, è proprio la conta di questo tipo di globuli bianchi il primo esame che viene fatto, oltre alla solita valutazione degli indici di infiammazione» ricorda l’esperto. «Sempre nel sangue si cercano gli ANCA (anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili) marcatore presente in circa un malato su due». Si può effettuare anche una radiografia del torace per ricercare eventuali addensamenti . «La terapia prevede cortisonici in alte dosi in fase acuta, che fanno generalmente ridurre il numero degli eosinofili ed eliminano gli addensamenti polmonari, confermando quindi la diagnosi» continua lo specialista. «Per ridurre o sospendere il cortisone si abbinano poi farmaci immunosoppressori, come azatioprina, micofenolato mofetile o più recentemente rituximab, anticorpo monoclonale rivolto contro i linfociti  B, ovvero le cellule che  producono gli anticorpi. Questa strategia di intervento, soprattutto se rapida, permette oggi condurre una vita quasi del tutto normale».  


Naso primo bersaglio della Granulomatosi di Wegener

La granulomatosi di Wegener, oggi chiamata granulomatosi con poliangioite, coinvolge i vasi sanguigni di piccole e medie dimensioni, in particolare quelli del naso, dei seni paranasali, degli occhi, dei polmoni e dei reni, determinando come la Sindrome di Churg-Strauss, la formazione di granulomi. «Questa vasculite può esordire con una rinite crostosa, cioè una sorta di raffreddore accompagnato da croste di sangue che diventa una rinosinusite cronica dolorosa, perché il tessuto granulomatoso erode letteralmente quello sano, tanto che si può andare incontro a una perforazione del setto nasale» ricorda il dottor Emmi. Gli occhi possono diventare sporgenti (esoftalmo) a causa della formazione di tessuto granulomatoso dietro l’orbita, inoltre possono essere rossi e dolenti. Ci può essere un interessamento della trachea, con possibili restringimenti causati da granulomi, mentre i polmoni possono essere interessati da addensamenti di tessuto che possono andare incontro a cavitazione.

Servono diagnosi e terapia rapide

Prima si individua e si tratta la malattia, maggiori sono le probabilità di evitare danni seri agli organi (come per le altre vasculiti). «Anche in questo caso la diagnosi parte dai sintomi (soprattutto in presenza di problemi respiratori inspiegabili) cui si aggiunge l’esame del sangue, ed in particolare la ricerca degli  ANCA, che sono presenti in gran parte dei malati di Wegener e che possono quindi orientare il medico» spiega Emmi.

La terapia prevede anche in questo caso una prima fase di intervento con cortisonici ad alte dosi per bloccare l’infiammazione, cui associare poi immunosoppressori. «Grandi passi avanti nel trattamento di questa vasculite sono stati permessi in particolare dall’uso della ciclofosfamide, per bocca o per endovena. Si tratta però di un immunosoppressore molto efficace, ma che può avere azione tossica a livello della vescica e può determinare sterilità. Oggi, fortunatamente, si può ricorrere anche al micofenolato o all’azatioprima, ugualmente efficaci ma meglio tollerati e in particolare al rituximab, che consente nella maggior parte dei casi di evitare la ciclofosfamide » dice l’esperto.

Afte possibile spia della sindrome di Behçet
La malattia di Behçet è una vasculite che può interessare sia le arterie che le vene, di qualsiasi calibro. Ha una distribuzione geografica particolare, perché è soprattutto presente nel sud del Mediterraneo (con un picco in Turchia) e lungo la via della Seta (con un secondo picco in Giappone). «Spesso il primo sintomo è la comparsa di afte orali, ossia piccole ulcere dolorose e recidivanti a carico della mucosa orale, spesso associate anche ad afte sulla mucosa genitale» rivela il dottor Emmi. La vasculite può interessare la pelle, con una pseudo follicolite, cioè pustoline sulla pelle del dorso, dei glutei e dell’inguine, spesso prese per una forma di acne, e un eritema nodoso, cioè un eritema   rappresentato da noduli sottocutanei, rossi, dolenti  e duri alla palpazione. In molti casi si registra il fenomeno della patergia cutanea, ossia un’ipersensibilità della pelle a stimoli comuni (anche una puntura con ago) che determina la comparsa di papule. Possono essere coinvolti gli occhi, con una uveite (infiammazione dell’uvea, una parte dell’occhio) e una vasculite retinica che espone al rischio di cecità, o il sistema neurologico (con l’infiammazione dell’encefalo). «C’è anche la possibilità di un interessamento gastrointestinale, con ulcere simili a quelle delle malattie croniche intestinali, tanto che non è sempre facile distinguere queste ultime dalla sindrome di Behçet» spiega il medico. «Particolare attenzione va prestata al coinvolgimento dei grossi vasi sanguigni. Questa vasculite, infatti, può determinare una trombosi venosa profonda che non dà origine a emboli e non risponde al trattamento con farmaci anticoagulanti, bensì alla terapia immunosoppressiva. In più può causare aneurismi alle arterie (soprattutto a quelle polmonari) che possono andare incontro a  rottura».


Una terapia differenziata

Per quanto riguarda la diagnosi, in particolare la presenza di aftosi orale e  genitale (aftosi bipolare) dovrebbe già orientare il medico nella direzione giusta. «Un aiuto può arrivare anche da un esame del sangue per la ricerca dell’antigene di istocompatibilità HLA-B51, che è presente nel 40-60 per cento dei soggetti con Behçet, ma che può essere riscontrato anche nei soggetti sani, anche se con minor frequenza. Può essere utile anche il “patergy test”. Questo consiste nell’indurre un piccolo danno sulla cute con un ago, per verificare l’eventuale presenza di patergia cutanea» spiega il medico. La terapia varia in base alla parte del corpo interessata dalla vasculite. Per le afte e per interessamento cutaneo, può essere prescritta colchicina, un farmaco antinfiammatorio, e, tra gli immunosoppressori, azatioprina o nelle forme più gravi farmaci biologici quali gli anti-TNF alfa. «Cortisonici ad alte dosi per via sistemica seguiti da immunosoppressori come azatioprina, anti-TNF alfa, o methotrexate sono indicati anche in caso di coinvolgimento oculare e neurologico, mentre in caso di problemi vascolari dei grandi vasi, oltre ai cortisonici, è utile l’anti-TNF alfa, in caso di trombosi e la ciclofosfamide in caso di aneurismi» conclude lo specialista.

Serve un’équipe multidisciplinare
Le vasculiti rientrano tradizionalmente nel campo delle malattie immuno-reumatologiche, ma raramente è lo specialista che per primo vede il malato, complici i sintomi così vari e che possono interessare parti dell’organismo così differenti. Questo certamente non aiuta a formulare diagnosi precoci. «In Italia abbiamo una conoscenza piuttosto alta delle vasculiti, ma manca un registro che aiuti ad avere dati epidemiologici nazionali certi» sottolinea Emmi. «Per facilitare l’individuazione della malattia in tempi precoci e l’applicazione delle migliori terapie è opportuno quindi poter contare su équipe multidisciplinari, dove agli specialisti (immunologo, reumatologo, ma anche internisti dedicati) si possono affiancare nefrologi, gastroenterologi, cardiologi, neurologi, pneumologi eccetera ». Per tale motivo nei centri di riferimento per  queste patologie  (vedi box) collaborano o per lo meno dovrebbero collaborare differenti specialisti.

Anche i personaggi famosi ne soffrono
Non mancano personalità più o meno note che si sono trovate ad affrontare una qualche forma di vasculite. Janet Leigh, indimenticabile interprete di Psyco e madre dell’attrice Jamie Lee Curtis ha sofferto di una forma di vasculite, prima di mancare nel 2004. Dieci anni dopo, nel 2014, Harold Ramis, attore e regista, noto per essere stato tra i protagonisti di Ghostbusters, è morto a 69 anni per complicazioni legate sempre a una vasculite con cui ha convissuto per 4 anni.

In casa nostra, infine, molti ricorderanno che Sandra Mondaini negli ultimi anni della sua esistenza è stata costretta su una sedia a rotelle proprio da una forma di vasculite.

Il Cv del Dottor Lorenzo Emmi.


Gli indirizzi

*I centri citati sono una libera scelta redazionale

Milano: Centro di riferimento regionale per le Malattie Autoimmuni Sistemiche, Immunologia e Allergologia, Policlinico di Milano, Tel 02/55036381
Firenze:  Centro di riferimento regionale per le Malattie Autoimmuni Sistemiche, Patologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Tel 055/7947520
Bari: Centro di Riferimento per le malattie reumatologiche rare, Reumatologia, Policlinico di Bari, Tel 080/5593212
Catania: Centro di Riferimento regionale per le malattie rare, Reumatologia, Presidio Ospedaliero Garibaldi-Centro, Tel  095/7594326.


In farmacia

*I medicinali citati sono una libera scelta redazionale

Tra i corticosteroidi:
Deltacortene, 25 mg, 10 compresse, classe A

Tra gli immunosoppressori:
Methotrexate, 2,5 mg, 25 compresse, classe A
Azatioprina, 50 mg, 50 compresse rivestite, classe A
Endoxan Baxter, 50 mg, 50 compresse rivestite, classe A
Micofenolato Mofetile Sandoz, 500 mg, 50 compresse rivestite, classe A

Tra gli anticorpi monoclonali:
Mabthera, 500 mg, soluzione 50 ml, classe H
Inflectra, 100 mg, polvere per infusione, classe H
Roactemra, 20 mg, soluzione 20 ml, classe H


ABC Dizionario

  • Gene: unità fondamentale del codice genetico, localizzata nei cromosomi, portatrice delle informazioni ereditarie.
  • Cromosomi: corpiccioli a forma di bastoncello presenti nel nucleo di ogni cellula, costituiti da DNA e proteine. Contengono numerosi geni. Nell’uomo sono 46 per ogni cellula (22 coppie oltre ai due cromosomi sessuali)
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